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02 luglio 2012

Are you really sure of the shape of the ball?

Dovrei probabilmente aprire questo post con qualche sorta di disclaimer tipo "personalissime osservazioni", ma pensandoci meglio il blog è mio.
Il blog è per sua natura personale, ergo non ci sarà bisogno di alcun disclaimer.
Così è se vi pare, diceva qualcuno, e se non vi pare è così ugualmente, date le circostanze del luogo (fisico o astratto che sia).

Parliamo di questi Europei 2012.
La vita di un immigrato è difficile anche in questo.
Ho sempre considerato gli Europei una piccola ma interessante parentesi tra un Mondiale e l'altro, niente di trascendentale tuttavia qualcosa che ho sempre seguito anche se con più leggerezza. Quando sei lontano da casa una cosa come gli Europei 2012 sono un'altra occasione per non sentirsi totalmente chiusi fuori, e cercare di seguirli diventa qualche centimetro più importante.
Poi ti accorgi che per vedere le partite live ti devi alzare alle sei del mattino ed un po' i coglioni frullano; ti rendi conto che quando arrivi in finale e sei elettrizzato e intorno a te non c'è uno straccio di atmosfera poiché, giustamente, l'Europa è dall'altra parte del Globo, un po' il morale striscia verso il basso.

Non starò qui a sottolineare - di nuovo - come a mio parere lasciare il proprio Paese per cercare qualcosa che a casa non si trova non significhi ripudiare la Patria o denigrarla o comportarsi come se ormai tutto debba essere un confronto tra il dentro ed il fuori dei confini o, peggio ancora, siccome sei a 12mila miglia devi comportarti come se le cose che ti riguardano stessero in un raggio di pochi chilometri.
Non sono discorsi che mi interessano, li trovo infantili. Su questo non sono nemmeno più disposta a discutere, sono energie sprecate e parole buttate al vento.

Sapete anche che ho sempre amato il calcio, l'ho sempre seguito e anche dopo che abbiamo dolorosamente divorziato non ho mai smesso di seguire la Nazionale. Non ho mai smesso perché in fondo ho sempre mantenuto un valore romantico dello Sport, un momento in cui nient'altro importa se non la gioia del gioco e l'unità del supporto.
Era per questo motivo che per tanti anni ho frequentato la Curva, prima che tutto si rovinasse e che venisse contaminato da corruzione, politica, violenza, razzismo e tutte quelle altre cose che con lo Sport in sé non c'entrano proprio niente. Una domenica sì ed una no ho presenziato allo stadio e mi piaceva, vivevo la passione del supporto della propria squadra, del cantare tutti assieme perché in campo ci sentissero, della condivisione di gioia e dolore a seconda dell'esito della partita.
Sport e supporto, tutto il resto poteva anche andarsene affanculo, almeno per 90 minuti.
Tutto questo ora l'ho ritrovato nel Rugby, sport che ha sapientemente raccolto le ceneri di quella che era per me la Gloria del Calcio. Non seguo più il Campionato, se non marginalmente.
Seguo con occhio distaccato la Champions League e forse ora me la godo di più. Sicuramente continuo a seguire la Nazionale, sia negli Europei che soprattutto nei Mondiali.

Proprio perché continuo a seguire in onore del romanticismo sportivo che non mi ha mai abbandonato, mi urta terribilmente dover vedere / sentire / leggere quello che ci gira attorno.
I bisbetici che lanciano anatemi perché, non capendo il Calcio o non interessandosene, insultano il tifoso accusandolo di essere superficiale ed esortandolo rudemente ad usare le proprie energie per "cose più importanti". Come se un'Italia senza tifosi risolvesse in 48 ore la Crisi.
Peggio ancora chi, sempre non capendo o non interessandosi, usa il proprio tempo per tifare contro ed esultare per le mancate vittorie.
Non parliamo di coloro che usano il Calcio (o qualsiasi altro Sport) come mezzo per dare sfogo alle proprie frustrazioni politico-sociali: esternazioni di razzismo verso il nostro giocatore nero - bresciano D.O.C.G. per giunta - esultanze poiché la Patria non è l'Italia bensì la Padania, dimostrando ad ogni occasione la pochezza e la povertà dei loro animi; sbandieramenti con svastiche e cori fascisti e chi più ne ha più ne metta, ma si renda prima o poi conto di quanto è ridicolo per piacere.
Potrei andare avanti per ore, sottolineando come tutti coloro che non volendo seguire il Calcio per qualsivoglia motivo sociopoliticoetnicoculturale o non sapendolo apprezzare per quello che è, e cioè puro e semplice sport, e dovendoci piazzare qualche secondo fine sociopoliticoetnicoculturale perdono comunque una buona parte del loro tempo libero per cercare di denigrarlo o di distorcerlo, in realtà facciano una figura ancora più meschina di quella che loro pensano facciano i tifosi.

Solitamente sono anche persone che s'affannano a dare alla propria esistenza un valore aggiunto. Che si prendono sempre sul serio, che hanno dato l'anima a qualche causa indubbiamente nobile, persone tutte d'un pezzo che dall'alto delle loro valide esistenze giudicano il Tifoso e lo Sport, additandoli come becere perdite di tempo che rovinano l'immagine dell'uomo sapiente.
In verità, in verità vi dico: avete spaccato i maroni.
Non riuscite a vedere niente per cui valga la pena seguire la Nazionale di Calcio? Bòn, nessuno vi obbliga. Siete colti, siete eruditi, avete investito in una vita pregna di significato, non dovrebbe essere complicato per voi il concetto della Libera Scelta.
Liberamente, quindi, scegliete di dissociarvi da questa pratica barbara, retrograda e bassa.
Dissociatevi e lasciateci divertire, lasciateci entusiasmare, lasciateci tifare, lasciateci vincere o lasciateci perdere. Ma lasciateci in pace, ne fate una figura migliore.

Detto questo, alla fine dei giochi, il mio pur sempre vecchio amante Calcio mi lascia sempre quell'amaro in bocca che invece la mia anima gemella Rugby ha saputo togliere con tanta gentilezza.
Abbiamo perso la finale, l'altra squadra ha giocato meglio ed ha meritato la vittoria.
Invece di dare la colpa ai portasfiga, all'allenatore, alla congiunzione astrale o a che so io, non sarebbe stato venti volte più soddisfacente un bel Terzo Tempo?
Io dico di sì.

14 marzo 2012

Bewußtsein

Non sono in paradiso.
Non ho mai pensato che avrei lasciato la Brianza per andare in paradiso.
Ho sempre pensato che avrei lasciato la Brianza per andare in un posto dove ora come ora si sta meglio.
Io sto meglio.

Quello che manca a molti di coloro che partono - e puntualizzo che non è stato il mio caso - è la misura di quello che lasciano.
Cosa lasciano, come la lasciano, perché la lasciano.
La misura, l'altezza, il peso specifico, la densità.

Io ho lasciato l'Italia e non credo di avere qualche impulso di qualche genere nel voler tornare in italica patria.
Mi manca la verde e ridente Brianza. La Brianza che respira, sdraiata sul fianco delle Prealpi, facendo l'occhiolino all'industriosa ed indaffarata Milano. La Brianza piccola, un enorme paese dove in qualsiasi modo ti giri incappi in persone note ed in posti in cui sei un abitué. La Brianza che mette le sue verdi e nebbiose dita attorno al tuo collo e se cominci ad agitarti un po' troppo stringe la presa, mozzandoti il fiato ma senza ammazzarti. La Brianza che un po' si incazza ma poi perdona se la trascuri per qualche tempo.
Mi manca la verde e ridente Brianza, ma essendo lei in Italia, per ora il nostro sarà uno struggente e platonico amore. La penserò ogni giorno e lei lo saprà.
Del resto, a me la nebbia è sempre piaciuta.

Qui sto meglio, nonostante le difficoltà della lingua, del permesso di soggiorno, dell'incertezza del domani, dello sradicamento.
Vedo i pro e vedo i contro e ho deciso che per ora i contro sono molti meno dei pro, quindi respiro a pieni polmoni e aspetto a braccia aperte tutto quello che verrà.
Ho fatto il giro completo, a testa in giù hai un'altra prospettiva, altre angolature, altri tempi ed altri modi. Ed altri luoghi. Altre distanze.
Quel che vedo mi piace, mi affascina, mi incuriosisce e mi porta a dire che sì, già che son qui, prendo tutto quel che c'è e cerco di vedere tutto quel che posso.

La misura di cui parlavo, però, è un'altra.
E' una misura più generale eppur più specifica. Più omnicomprensiva, proprio per questo è una buona misura ed alla lunga credo sia la misura in cui voglio stare.
Una misura completamente diversa da quella che c'è qui, che eppur ora è la migliore possibile per le priorità che ho, direi diametralmente opposta. Così come l'Oceania è diametralmente opposta all'Europa.
In Nuova Zelanda sono al margine del mondo, sto seduta su un panorama naturale di una bellezza che toglie il fiato e guardo le distanze sconfinate che mi separano dall'Australia, dall'Indonesia, dal Giappone, dall'India, dalla Cambogia e dal Vietnam. Vedo da qui culture che posso solo osservare, da lontano, da cui trarne piacere e affascinamento se prese a piccole dosi. Tipo l'andarci a fare un viaggio.
Da qui se sposto montagne, oceano, vallate, vigneti, fiumi, laghi e tramonti però vedo pochi Maori e una cultura che potrebbe avere l'età di mia nonna (d'accordo, mia nonna è molto vecchia).
Un sedile eccezionale, unico al mondo, di una bellezza fuori dal normale. Ma sotto non c'è nemmeno un tappeto e per andarlo a trovare bisogna camminare parecchio.

La mia misura è l'Europa, dopodiché la mia misura è il Mondo.
In Europa è tutto così vicino anche se è profondamente distante. L'oceano da un bar di Porto, la bellezza selvaggia dell'Ovest più profondo nel Connemara, i fiordi norvegesi, i mille laghi della Finlandia, la sconfinata Foresta Nera ed i castelli da fiaba in Germania, l'unicità dell'Italia, il misticismo dei templi in Grecia, il mondo parallelo nelle vaste pianure ad est della Polonia, il Mediterraneo e le Faroe Islands che fanno l'occhiolino all'Islanda, l'esoticità dell'entroterra spagnolo, il Mar Nero, le Highlands scozzesi. E potrei andare avanti per ore.
Chi cerca di convincermi che questo lato del mondo è meglio perché vedi cose che "a casa non ci sono" mi fa venire i brividi. Forse si tratta più di unicità di luoghi, qui come lì come in Sudamerica o Africa o negli USA o in Canada. Forse chi disprezza quello che ha a casa in favore di uno scenario mozzafiato deve fare prima pace con le proprie radici.
Io no.
Conosco bene la mia misura, so da dove vengo ed apprezzo quello che ho lasciato nella cara e vecchia Europa, piena di problemi di ogni genere ma soprattutto di diversità naturali e culturali. Soprattutto culturali.
Forse la formula sta più nel trovare tutte le variabili dell'equazione, più che preferirne una sull'altra, sapendo che sono tutte diverse tra loro. E riconoscendo la propria.
Forse chi snobba il selciato sul quale duemila anni fa ha passeggiato Aristotele, chi ride di Stonehenge, chi sminuisce il Colosseo, chi non ha idea di cosa siano le Meteore (vergogna), chi non è mai stato a mollo nelle terme romane a Budapest, chi non ha mangiato un kebab seduto nel Barbacane di Cracovia, visitato il Check Point Charlie a Berlino, fatto una foto con Nessie, pescato in un fiordo, camminato a Santiago, visto l'Africa da Gibilterra, pattinato sul ghiaccio nel mare di dicembre ad Helsinki e così via, ha molti più problemi di me a trovare la propria misura nel mondo.
Io no.
Io sto meglio.
Io sto bene.

25 novembre 2011

Non troppo breve appello agli italiani

Lo so che ho scritto poco da quando sono arrivata qui in Kiwiland e che in teoria le novità sono assai.
Lo ben so e nonostante io sappia di sapere ignorerò la sezione "aggiornamenti" (anche perché chi avevo urgenza che fosse messo in pari con gli eventi è stato raggiunto da una email, sicché).

Stanotte scrivo perché voglio fare un appello a tutti gli italiani e lo voglio fare col cuore in mano - e una bestemmia in tasca.
Amici, fratelli, compatrioti, italiani. Voi, che come me avete scelto di fare il grande passo e sciacquarvi dalle balle per uscire dall'Europa. Vi prego, ascoltatemi.
Non che quelli che restano in Europa siano i più stronsi di tutti e quindi non meritino di rientrare nell'appello a reti umidificate, ma sento di escluderli con loro sollievo dalla categoria perché:
a - RyanAir è manna dal cielo sempre e comunque, in caso di necessità;
b - restando in territorio UE molte burocrazie non s'hanno da fare.

Ciancio alle bande, Sancho alle panze.
GIARGIANS OF ITALY!
Vi prego, vi supplico, vi raccomando, vi scongiuro.
Prima di abbandonare l'ovile, per quanto marcio e morente sia, assicuratevi QUINDICILIONI di volte di non aver lasciato niente in sospeso.
State attenti ai contratti di affitto, alle dimissioni al lavoro, alle volture dei contratti per energia elettrica / luce / gas, ai telefoni fissi e mobili, alla tivù satellitare se ne avete una, all'assicurazione auto, all'abbonamento a Cucinare Meglio. Se siete abbastanza in confidenza con qualcuno che lavora nella vostra filiale di banca fate assieme a loro un check di tutti gli addebiti in giro e in ballo ed eliminate per precauzione tutti quelli da cui non dovete ancora ricevere le ultime bollette, controllate spese e tassi della zona in cui andrete, fatevi già dare la documentazione COMPLETA per eventualmente chiudere il conto in futuro, se potete mettete come delegato qualche vostro familiare sul vostro conto. Affrettatevi se dovete rottamare un motorino (e ricordatevi di toglierci la targa, piuttosto regalatela al nonno per Natale dicendogli di conservarla come fosse un vostro pezzo di cuore) o qualche elettrodomestico.
Pensate a tutto quello che lasciate invenduto / in custodia / in standby e se potete spendete due spiccioli per cambiare intestazione a tutte le vostre proprietà che lasciate in Patria Italica. Intestate a qualche familiare, di solito è la cara e buona e vecchia mamma italiana che si accolla sulle proprie spalle le rogne di tutte le generazioni a venire, fino al terzo ramo dell'albero genealogico.
Perderete tempo, perdiana se ne perderete, ma fatelo finché ancora siete in Italia.

Oggi io ho dovuto passare una giornata allucinante e spendere un terzo di stipendio per andare da Auckland a Wellington a far mettere un TIMBRO e una FIRMA su un foglio di Procura che ho dovuto scrivere di mio pugno perché l'Ambasciata non l'avrebbe fatto per me. 650km e un giorno buttato al vento perché ad Auckland c'è solo il Consolato e non ho avuto il coraggio di chiedere allora a che cacchio serve se per un timbro devo comunque andare in Ambasciata.
Parentesi: se andate a Wellington, che sia estate o inverno, portatevi qualcosa per proteggervi dal vento che tira raffiche che vi spostano di parecchi metri. E attenti alle vecchine, se pesano poco il vento le fa volare in giro e vi potreste trovare ad afferrarne una al volo.


E se ormai avete levato l'ancora e leggendo vi siete resi conto che effettivamente c'è qualcosa che vi siete scordati di sistemare e adesso la dovete risolvere dall'estero: spero abitiate nella Capitale del Paese in cui siete, o perlomeno siate a distanza ragionevole dall'Ambasciata Italiana.
E telefonate sempre, se andate senza appuntamento vi rimbalzano.
E insistete a chiedere che vi facciano le cose, a quanto pare gli costa parecchia fatica (tanto per fare un esempio, è stata la prima e spero ultima volta nella mia vita in cui, ad una richiesta di duplice copia - tradotto una FOTOCOPIA con un TIMBRO che diceva COPIA CONFORME - mi hanno fatto 10 minuti di sceneggiata perché era "impegnativo" e l'ho dovuta anche pagare 19 NZD).


E dopo la mia giornata di oggi, più che mai mi sento di augurare a tutti quelli che vogliono affrontare l'espatrio:

CHE LO SFORZO SIA CON VOI
Possibilmente in Italia